L’Appennino Reggiano

L’Appennino reggiano confina a nord con la Pianura padana, a sud con la Garfagnana, a ovest con l’Appennino parmense e a est con il Frignano. Il territorio dell’Appennino reggiano comprende diversi comuni, raggruppati nella Comunità montana dell’Appennino reggiano di cui Castelnovo Monti è il comune più popoloso e può essere considerato il “capoluogo” dell’Appennino.  Il territorio dell’Appennino reggiano è particolarmente interessante dal punto di vista naturalistico e paesaggistico ed è preservato grazie sia ad un basso livello di popolazione che all’assenza di autostrade o ferrovie Gran parte del territorio e dei comuni sono inclusi nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano.
IL PARCO
L’estensione del parco copre un’area che va dal crinale appenninico alle colline dei dintorni. Le diversità altimetriche permettono lo svilupparsi di ambienti diversificati all’interno della stessa zona: aree più o meno spoglie di vegetazione, colline, foreste che vedono la presenza dell’uomo in maniera più o meno significativa a seconda del territorio. Le vette del Monte Prado, del Monte Cusna e dell’Alpe di Succiso, che superano i 2000 m di quota, così come le linee di crinale più alte, sono caratterizzate dal paesaggio delle praterie, quindi ritroviamo fiori di montagna come genziane, astri alpini, nardi o giunchi delle creste. Più a valle troviamo arbusti da frutto come il mirtillo nero o rosso, il sorbo o l’erica baccinifera. Crescono nella zona delle brughiere, ora molto più estesa in quanto un tempo i pastori davano fuoco a queste aree per creare i pascoli. Le brughiere anticipano la zona boschiva: la ritroviamo fino a 1700 metri di altitudine, ma con diversità di specie. Fino a 1000 metri troviamo per lo più querce e castagni, mentre salendo di quota queste piante cedono il passo ad abeti bianchi e faggi. Ad oggi, molte zone hanno subito interventi di rimboschimento a causa della pesante opera di deforestazione avvenuta nei secoli precedenti per la produzione di legname (è il caso dell’Abetina Reale degli Estensi). In zona collinare poi, cominciamo a trovare il paesaggio agricolo: dai pascoli per l’allevamento dei bovini finalizzato alla produzione di Parmigiano-Reggiano, ai vitigni che ricamano i pendii, a campi di cereali come grano o granturco. Diversi sentieri all’interno del parco hanno una connotazione storica in quanto tracciati per costituire vie mercantili, sfruttate anche da pellegrini e briganti; questi ultimi poi si spostavano da un versante all’altro attraverso i passi del Cerreto o di Pradarena.
Da visitare nella parte più alta, verso il crinale, i piccoli borghi, arroccati sulle alture o adagiati ai piedi dei monti: un elemento fondamentale dell’immagine del Parco. I pochi centri hanno trovato localizzazione solo nelle zone perimetrali a causa della morfologia del territorio che permetteva lo svilupparsi degli insediamenti solo qui. Hanno tutti caratteristiche simili: protetti dai resti delle mura e delle fortezze medioevali, questi raccolti nuclei abitati spiccano tra i boschi, accompagnati da una corona di campi coltivati e segnalati in lontananza dall’emergere del campanile della chiesa di paese.
Scendendo verso valle, di notevole interesse è senza dubbio la La Pietra di Bismantova, nel comune di Castelnovo Monti. E’ una formazione rocciosa dalla forma particolare, che si staglia isolata ed è visibile praticamente da tutto il territorio reggiano. Nella zona del fiume Secchia, invece, ricordiamo l’area dei Gessi Triassici (formazioni rocciose geologicamente importanti, perché risalenti a circa 200 milioni di anni fa), e le Fonti di Poiano, la più importante risorgente carsica dell’Emilia-Romagna. Questa zona è caratterizzata dalla presenza di pievi e castelli matildici, di cui il più celebre è quello di Canossa, che ritroviamo anche in fascia pedecollinare.
 Vegetazione
Il territorio del Parco Nazionale si presenta come un complesso insieme di ambienti differenti a cui corrisponde una straordinaria diversità di tipologie di vegetazione e di specie della flora. Brughiere a mirtilli, boschi di faggi e querce, rimboschimenti di conifere, castagneti e preziose torbiere caratterizzano in modo significativo il paesaggio e il territorio del Parco.
Come abbiamo già accennato,  a seconda dell’altitudine ritroviamo castagni, querce, faggi e abeti bianchi e rossi. Da notare però che le specie latifoglie predominano fino a 1800 metri; difficilmente si trovano zone di sole conifere. Salici e pioppi crescono invece in prossimità dei corsi d’acqua. La specie che ha subito la riduzione maggiore è di sicuro quella dell’abete bianco che ha visto nei secoli cedere il passo al faggio a causa della mutazione delle condizioni climatiche. I castagneti sono solitamente localizzati vicino ai centri abitati, a testimonianza dell’importanza che questa risorsa aveva un tempo per l’economia locale. In zona collinare, abbiamo visto come trovino posto i pascoli o i terreni coltivati, mentre la brughiera si estende oltre la zona boschiva salendo di altitudine. In ambito floristico, troviamo delle specie endemiche di origine sia alpina che mediterranea: ecco quindi rododendri, genziane e genzianelle, asrti alpini, nonché specie rare come la primula appenninica. All’interno del territorio del Parco, non è consentita la raccolta di piante e fiori protetti.
Fauna
Come nel caso della flora, anche per la fauna troviamo diverse specie di mammiferi a seconda dell’area e dell’altitudine, alcuni sono di grande interesse in quanto si tratta di specie in via di estinzione. Troviamo, ad esempio la ricomparsa del lupo, così come la reintroduzione di alcune specie di ungulati come il cervo (in precedenza autoctono) o il muflone (non originario della zona, ma adatto alle condizioni territoriali). Grande diffusione hanno invece caprioli e cinghiali su tutta l’area del parco. Si tratta per lo più di specie notturne. Come mammiferi diurni, invece, troviamo lo scoiattolo, la volpe e diversi mustelidi fra cui la faina, la puzzola, la donnola e il tasso. Come il muflone, da alcuni decenni è stata introdotta la marmotta delle aree più settentrionali, che ha portato all’intensificazione della presenza anche di aquile reali.  E’ proprio in ambito ornitologico che troviamo maggiore varietà, grazie sia alla loro innata attitudine di adattamento anche a quote dove altre specie non sopravvivono, sia a diverse specie migratorie che stazionano nella zona del parco in alcuni periodi dell’anno. Sopra i 1800 metro troviamo quindi in estate lo spioncello e il sordone, che scelgono queste zone per la riproduzione, ma anche rondoni, balestrucci, gheppi e poiane. Difficile avvistare grandi rapaci come gli astori, mentre alcune piccole specie come il merlo dal collare o il passero, nidificano qui tanto come in pianura. Ricordiamo inoltre che il parco dell’Appennino è uno dei pochi siti di riproduzione delle beccacce.
Anche tra gli anfibi esistono specie di notevole interesse: la rana temporaria e il tritone alpestre, comuni dai 1.000 metri in su, sono considerate specie relitte dell’epoca glaciale. Altri anfibi come i tritoni crestato e punteggiato, il rospo comune, la raganella, la rana verde e la rana agile sono diffusi in vari ambienti, soprattutto a quote non troppo elevate. Tra i rettili troviamo la comunissima lucertola muraiola, il velocissimo biacco, la biscia dal collare e la vipera.
 Storia, tradizioni e folclore
Dobbiamo ricordare che il Parco dell’Appennino non ha solo grandi qualità naturalistiche, ma che ha un’importante valenza in ambito culturale, storico e del folklore, nei termini di una cultura popolare rimasta nella memoria dii luoghi inalterati nel corso dei secoli e degli abitanti dei piccoli borghi. Mestieri di un tempo come il carbonaio, il taglialegna, il pastore o il contadino ha contribuito a caratterizzare il paesaggio dell’Appennino, così come le tradizioni hanno mantenuto unite le persone al territorio. Il tutto va poi di pari passo con l’aspetto storico che ritroviamo nei borghi, nelle pievi e nei castelli, talvolta citati da scrittori e poeti che hanno contribuito a diffonderne la fama e farla arrivare fino a noi, primo fra tutti Dante Alighieri
Turismo
Benchè vi sia un altissimo potenziale, ad oggi viene sfruttato solo in parte. Troviamo un grande richiamo da parte degli escursionisti nel periodo estivo grazie ad una vasta rete di sentieri che arrivano fino alle vette più alte, superando i 2000 metri. In inverno, comprensori come Cerreto Laghi, Venatsso o Febbio sono attrezzati per gli sport invernali come sci alpino e di fondo. In autunno invece ritroviamo gli appassionati di funghi, castagne e frutti di bosco che, muniti di regolare tesserino, si spargono su tutta l’area per la ricerca e la raccolta di questi frutti
 Escursioni – Sentieri e rifugi
Sono circa  1250 i chilometri della rete di sentieri che si snodano nella provincia di Reggio Emilia: la maggioranza si ritrovano ovviamente nelle zone montuose e collinari. La rete è supervisionata dal CAI e i sentieri, indicati coi classici colori rosso e bianco sono contraddistinti da tre cifre, sempre inizianti col 6, e dispari (i pari sono sul versante toscano). Ricordiamo inoltre che il crinale appenninico, e i passi principali di PradarenaCerreto e Lagastrello, sono attraversati dal sentiero 00 – Grande Escursione Appenninica (Sentiero Europeo E1).
I sentieri sono raggruppati in tre grandi sentieri tematici:
 Sentiero Spallanzani (115 km). Ripercorre i luoghi visitati e descritti da Lazzaro Spallanzani, celebre scienziato scandianese del 1700. Partendo da Scandiano (130 m, luogo di nascita del naturalista), conduce a San Pellegrino in Alpe (1524 m), attraversando tutte le fasce di vegetazione dell’Appennino e i luoghi più importanti dal punto di vista naturalistico. Il sentiero si svolge in sette tappe e non presenta particolari difficoltà tecniche.
Sentiero dei Ducati (82.3 km). È un sentiero transappenninico che collega la collina reggiana (Quattro Castella 160 m) con la costa tirrenica (Luni 20 m). L’itinerario, che trae origine dagli antichi confini ducali che fino al 1848 dividevano borgate e vallate tra loro adiacenti, si snoda nella Val d’Enza attraverso il passo del Lagastrello. È generalmente diviso in undici tappe (sette nell’Appennino reggiano) e presenta alcune varianti.
Sentiero Matilde (circa 80 km). Ripercorre i luoghi della Gran Contessa Matilde da Canossa (219 m) fino a San Pellegrino in Alpe (1524 m) sul crinale Tosco-emiliano. Il sentiero è diviso in sette tappe, di cui cinque nell’Appenino reggiano.
Diversi i rifugi e bivacchi sono situati sui sentieri d’alta montagna:
Rifugio Cesare Battisti, situato presso il Passo di Lama Lite, nell’alta valle dell’Ozola sulle pendici del Monte Cusna.
Rifugio Bargetana, situato ai piedi del Monte Prado.
Rifugio Segheria, presso l’Abetina Reale.
Rifugio S. Leonardo, posto nell’alta valle del Dolo.
Rifugio Monte Orsaro, verso il Passo Cisa, tra i monti Cusna, Cisa e Prampa.
Rifugio Paolo Consiglio, nel vallone del Rio Pascolo, presso l’Alpe di Succiso.
Rifugio Città di Sarzana, presso il Lago di Monte Acuto.
Rifugio Rio Re, nella valle del Rio Re tra passo Pradarena e val d’Ozola.
Rifugio Carpe Diem, situato al Passo Pradarena.
Rifugio Pratizzano, in località Pratizzano ai piedi del Monte Ventasso.
Bivacco S. Maria Maddalena, presso l’Oratorio di S. Maria Maddalena sul Monte Ventasso.
Bivacco Rosario, nel Vallone dell’Inferno sulle pendici del Monte La Nuda.
Bivacco Ghiaccioni, nella valle del Torrente Liocca, tra il passo di Pietratagliata e Succiso.
L’Appennino reggiano è attraversato dalla Grande Ippovia dell’Appennino dell’Emilia-Romagna.

I Viaggi di Benedetto Morini