Le Eccellenze Gastronomiche

La cucina modenese è una delle più rinomate nell’ambito gastronomico italiano ed è considerata la cucina emiliana per eccellenza, sebbene diverse specialità trovino somiglianze nella cucina reggiana o bolognese. Quasi tutti i prodotti tipici hanno come base la carne suina. Ha una storia molto antica che trova cenni delle specialità già in testi dell’alto medioevo. I principali prodotti conosciuti in tutto il mondo sono senza dubbio l’aceto balsamico tradizionale, il parmigiano-reggiano (anche se non originario, ci sono diverse aziende produttrici in zona), il cotechino e zampone (prodotti IGP. Ricordiamo che ogni anno a Castelnovo Rangone si tiene il Guinnes World Record dello zampone più grande del mondo) e, per finire, il lambrusco modenese (famoso quello di Sorbara e il Grasparossa di Castelvetro)

ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA
Aceto Balsamico non è solo un’eccellenza gastronomica: è anche simbolo di storia e cultura. La produzione non è nata solo grazie al clima e al territorio favorevoli: anche gli avvenimenti storici hanno avuto la loro influenza. La coltivazione della vite era nota già in epoca romana e così la fermentazione del mosto che si trasformava in quella che  al tempo veniva chiamata sapa. E’ da questi primi procedimenti che, con l’invecchiamento, si ottenne poi il prodotto riconosciuto oggi come aceto balsamico tradizionale. Si ottiene con uve rigorosamente coltivate in territorio modenese (per lo più Lambruschi e Trebbiano). Dopo la pigiatura, prima del processo di fermentazione, i mosti vengono cotti in caldaie a cielo aperto, in modo da raggiungere una concentrazione tra il 30% e il 50%. E’ adesso che si mette a decantare permettendo al mosto di iniziare un processo naturale che mescola fermentazione e bi ossidazione. L’ultima fase, per ottenere quella densità e quel profumo tipico dell’aceto balsamico, la maturazione. Non rimane quindi che l’invecchiamento a seconda del quale il prodotto finale risulta più o meno pregiato. Il Consorzio e l’Ente di Certificazione, infatti hanno stabilito che esistono 2 livelli qualitativi:
Aceto balsamico Affinato: invecchiato almeno 12 anni
Aceto balsamico Extravecchio: invecchiato minimo 25 anni
Le bottiglie, di tipica forma sferica in vetro massiccio (obbligatorie per tutti i produttori), vengono poi sigillate da contrassegno numerato. 

PROSCIUTTO DI MODENA
Si tratta di un prodotto cardine della tradizione gastronomica modenese. Si ottiene controllando e selezionando suini di razza bianca rigorosamente allevati nelle seguenti regioni: Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, Friuli Venezia Giulia. Per ottenere il marchio DOP è necessario attenersi ad una rigida regolamentazione che, grazie anche al clima tipico della zona, rendono questo prodotto unico, morbido e fragrante. Si tratta di cosce fresche stagionate, quindi ritroviamo la classica forma ‘a pera’ con piedino, che si ottiene asportando la cotenna e rifilando il grasso in eccesso. Un buon prodotto pesa di norma dagli 8 ai 10 kg. Il marchio, inciso a fuoco sulla cotenna, reca un  numero che contraddistingue l’azienda produttrice. E’ un prodotto dalle origini antichissime: si pensa fosse presente già nell’età del bronzo quando il territorio era occupato dai Celti che erano usi conservare la carne sotto sale. Nei secoli poi la pratica si affinò con l’introduzione della ventilazione della carne che ne migliorava la conservazione e la qualità (Prae exutus, in latino, significa ‘ben asciutto’). Ne veniva fatto largo uso in epoca romana, sia durante i banchetti, che come cibo durante le campagne militari, e la zona modenese era un punto di riferimento per la produzione già allora. 

COTECHINO
La produzione del Cotechino Modena IGP, si può trovare oggigiorno anche fuori dalla provincia, in una zona che, da Modena, si estende lungo tutto il territorio emiliano romagnolo, nonché in Veneto e Lombardia. La produzione del cotechino è una delle tradizioni modenesi più antiche (lotta da sempre per anzianità con lo zampone). Le testimonianze dei primi cotechini e zamponi si hanno intorno al 1500: se ne parla in riferimento alla necessità di produrre scorte alimentari conservabili a lungo a causa dell’assedio di Mirandola da parte di Papa Giulio II della Rovere. Per qualcuno in realtà l’uso di insaccare la carne nella cotenna o nelle zampe di suino era già in uso dai modenesi in precedenza. Il cotechino ha ottenuto il riconoscimento IGP nel 1999 e il marchio ne tutela origini e modalità di produzione. Si tratta di una mescolanza di carni suine selezionate tritate e aromatizzate con spezie quali la cannella, i chiodi di garofano, il pepe nero, nonché sale e zucchero e lasciato infine a macerare nel vino rosso. L’impasto viene insaccato in un budello naturale, precedentemente conservato sotto sale e chiuso alle estremità da dei legacci. Oggi per insaccare si usa una macchina che lavora sottovuoto. Sul mercato si può trovare stagionato o precotto (e in questo caso, durante la lavorazione si fora il budello per permettere la fuoriuscita di grasso e gelatina. E’ un prodotto ricco di proteine e grassi insaturi

 ZAMPONE
Di base simile al cotechino come prodotto: carne, con l’aggiunta di cotenna, macinata e speziata. Come abbiamo già detto, le origini risalgono all’assedio di Mirandola nel 1511. Rimase però una celebre portata in quanto poi, nel ‘700, venne sostituito nell’uso quotidiano alla salsiccia e lo ritroviamo celebrato in diversi scritti dell’800 sia italiani che stranieri (Zola sosteneva che lo zampone “donava gioia ad un animo triste”). Come un tempo lo trovavamo sulle tavole dei nobili, è ancora oggi un piatto della festa, in particolare del periodo invernale di natale e Capodanno. Il motivo risiede nella tradizione di macellare i maiali nel giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, e, rispetto ad altri insaccati che richiedono la stagionatura, zampone e cotechino, possono essere consumati subito. La lavorazione è simile quasi in tutto e per tutto a quella del cotechino, fatta eccezione per l’involucro che, anziché budello sotto sale, è questa volta, lo zampetto anteriore del maiale, chiuso quindi solo da un lato. Anche in questo caso lo si trova sul mercato sia fresco che precotto.

LAMBRUSCO
La storia del Lambrusco risale all’epoca romana: Si dice che sia nato da viti selvatiche: fu Catone a citarle come ‘vitis lambrusca’, che nascevano spontaneamente mescolandosi al resto della vegetazione dell’epoca.  Il termine viene utilizzato per indicare un prodotto proveniente da una coltivazione solo nel 1550, quando il termine ‘Lambrusca’ si trova ad indicare una serie di vitigni il cui prodotto è il tradizionale nettare frizzante che abbiamo ancora oggi sulle nostre tavole. Modena e lambrusco sono un binomio pressoché indissolubile: è grazie al territorio che il vino assumo quel gusto caratteristico che così bene si abbina ai piatti della tradizione modenese. In tutta la provincia troviamo circa 8000 ettari di superficie vitata, nonché l’azienda vinicola e la cantina sociale più antiche di tutta la regione. E’ questo che ha permesso di annoverare il lambrusco di Modena tra i prodotti DOP, cioè ‘di origine protetta’. Vengono prodotti 4 tipi di lambrusco: quello di Sorbara, il Salamino, il Grasparossa di castelvetro e il Lambrusco di Modena.
Lambrusco di Sorbara
Si ricava dall’omonimo vitigno, una varietà indigena e di antiche origini. La particolarità di questa uva è che gli acini rimangono comunque del diametro di pochi millimetri. Questo è dovuto ad un’anomalia floreale che provoca una puntuale e sensibile perdita del prodotto. La causa è di solito la sterilità del polline. Ecco quindi che ci troviamo ad avere un prodotto che può difettare in quantità, ma che di rimando è sempre di qualità elevatissima. Spesso per facilitare la fecondazione, si coltiva insieme ad una percentuale di Lambrusco Salamino all’interno dell’ stesso vigneto.
Lambrusco Salamino di Santa Croce
Anche questo deriva dal vitigno omonimo. Talvolta lo si trova coltivato con vitigni di Lambrusco Ancellotta e Fortana, soprannominati “uva d’oro”, ma in minima percentuale. L’uva ha grappoli piccoli e acini sferici di grandezza variabile anche all’interno dello stesso grappolo. A differenza del precedente, la produzione dei vitigni di Lambrusco Salamino è costantemente ricca. La vendemmia si effettua in genere ai primi di ottobre, il che permette ai frutti di raccogliere tutto il sole e il calore dell’estate.
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Dal vitigno omonimo. Non è un vitigno particolarmente vigoroso, ma ha una caratteristica particolare: in autunno, oltre alle fogliem si arrossano anche raspi e pedicelli. A volte si può trovare l’impianto del vitigno coltivato insieme al Lambrusco Fortana o al Malbo Gentile. A causa della vigoria cagionevole, le coltivazioni non sono in genere molto estese e la vendemmia avviene molto avanti in autunno, intorno alla prima decade di Novembre.
Lambrusco di Modena
Le prime notizie di questo lambrusco si hanno nell’800. Si tratta di una produzione che prevede un uvaggio di diversi lambrusche coltivati nella provincia. E’ per questo che viene denominato Lambrusco di Modena, dato che la città determina anche tutto il territorio della provincia. Avendo ottenuto ottimi risultati in ambito commerciale, il Lambrusco di Modena è oggi tra i più qualificati in enologia provinciale e anch’esso ha ottenuto il marchio DOP.

 CRESCENTINE MODENESI
Si tratta di un particolare tipo di pane tipico delle colline modenesi. E’ più comunemente (ed erroneamente conosciuto col nome di ‘tigella’). Un tempo preparato in occasione di feste e sagre, lo si ritrova oggi in tutte le trattorie emiliane. Il nome deriva dalla ‘crescente’ che era una sorta di pane piatto molto largo, mentre le crescentine, di diametro più piccolo, era una variante del gnocco fritto. L’arnese utilizzato per la preparazione era la ‘tigella’, stampo in terracotta o pietra refrattaria: è da qui che nasce la confusione della denominazione del prodotto in sé. Sono un prodotto molto semplice a base di acqua, farina e lievito di birra prodotto sottoforma di dischi da 8/10 centimetri. La cottura tradizionale prevedeva una sovrapposizione di pasta e dischi di terracotta arroventati, alternati tra loro. I dischi, di un centimetro di diametro erano in genere decorati con sagome floreali che restavano poi impresse sulle crescentine. Oggi, si utilizza una doppia piastra di metallo alimentata a gas o elettricità. Ne esiste anche una versione casalinga in alluminio che può cuocere contemporaneamente dalle 4 alle 7 crescentine. Una volta prone, le crescentine si consumano col tradizionale lardo pestato, formato da un trito di lardo di maiale, aglio e rosmarino o col parmigiano reggiano. Oggi si farciscono anche con salumi o formaggi e, per terminare il pasto, con marmellate e cioccolato. 

TORTELLINI
Nell’ambito della cucina tradizionale modenese i tortellini, pasta all’uovo tirata a mano e ripiena di carne di maiale, sono ormai conosciuti in tutto il mondo. Vengono in genere consumati in brodo (un tempo era il piatto della festa), ma oggigiorno si trovano quotidiana mente anche nella versione asciutta con panna o ragu. La sfoglia è costituita da ingredienti semplici: acqua, farina e uova, e tirata dalle sapienti massaie (o ‘rezdore’ in dialetto modenese) con l’ausilio di un lungo mattarello. Una volta tagliata a quadretti, ognuno di questi viene arricchito col ripieno di carne e chiuso sapientemente. E’ una procedura che richiede comunque parecchio tempo e abilità. Ogni menu classico modenese prevede un piatto di tortellini.
L’origine è incerta e si accavallano diverse leggende che ne rivendicano la storia: dalla Secchia Rapita di Tassoni alla più mitologica storia del cuoco che, al servizio della dea Venere e avendola sorpresa una mattina ancora discinta sul letto, volle immortalarne la bellezza con la sua arte, creando con pasta e gustosa carne un anello che rappresentasse il suo ombelico. In realtà, il motivo della classica forma del tortellino, classicamente arrotolato sul dito e che ricorda un ombelico femminile, è quello di evitare che, durante la bollitura, la sfoglia possa aprirsi disperdendo così il ripieno nel brodo.
La tradizione vuole che le ‘rezdore’ si ritrovino insieme qualche giorno prima della festa per aiutarsi a vicenda nella preparazione. 

TORTA BAROZZI
E’ probabilmente il dolce più tipico del territorio modenese, anche perché è originario di Vignola. La torta venne inventata nell’800 da Eugenio Gollini, titolare di una storica pasticceria ancora esistente nel centro del paese. Il nome deriva da uno dei cittadini più illustri della storia di Vignola: Jacopo Barozzi, grande architetto del ‘500 che era appunto soprannominato “il Vignola”. Fu attivo soprattutto nell’Italia centrale e fu architetto ufficiale della corte di Papa Giulio III (uno dei suoi progetti più famosi è la villa Farnese di Caprarola) Come tutti i prodotti tipici del territorio, anche la torta Barozzi è tutelata da un marchio brevettato. E’ un dolce che, ancora oggi, viene prodotto in modo del tutto naturale (ha un periodo di conservazione tra i 30 e i 40 giorni). Il nome odierno le venne assegnato solo nel 1907, in occasione dell’anniversario della nascita del Vignola, prima veniva semplicemente denominata ‘torta nera’. L’originalità della ricetta consiste in una sapiente proporzione di arachidi, mandorle, cacao e caffè, anche se gli esatti quantitativi ed il preciso metodo di preparazione rimangono tutt’oggi un segreto custodito gelosamente dagli eredi di Gollini.


 

I Viaggi di Benedetto Morini